
Capita sempre più spesso.
Arriva il cliente con l’aria soddisfatta e dice:
“Ho chiesto a ChatGPT e guarda, mi ha spiegato come bisogna fare!”
E tu resti lì, tra l’imbarazzo e la rassegnazione, chiedendoti quando esattamente il mondo abbia deciso che qualche riga generata da un algoritmo possa sostituire anni di esperienza, studio e mestiere.
Ma questo non succede solo nella comunicazione: capita al meccanico a cui spiegano come riparare un motore, all’enologo a cui suggeriscono come vinificare, al sarto che si sente dire come tagliare un abito.
E di esempi così ce ne sarebbero molti altri.
L’AI, contrariamente a quanto si crede, non è una bacchetta magica che ci rende “tuttologi”.
È uno strumento potente, ma in mano a chi non conosce davvero l’argomento diventa pericolosa.
Un po’ come un bisturi dato a chi non ha mai aperto un libro di anatomia: prima o poi, fa danni.
L’illusione del “posso farlo anch’io”
L’intelligenza artificiale è straordinaria, è un dato di fatto. Ma c’è un problema: pochi sanno usarla davvero.
Molti credono che basti scrivere due righe di prompt per ottenere risultati perfetti e performanti — “tanto
fa tutto l’AI”. Peccato non sia così.
I prompt sono tutto: per costruirli servono precisione, conoscenza, logica e senso critico.
Serve capire come ragiona lo strumento, sapergli “parlare” e soprattutto, saper leggere (e correggere) ciò che restituisce.
Senza queste basi, il risultato è un contenuto che sembra giusto, ma non lo è affatto.
Ecco cosa succede quando si delega tutto all’AI:
- Testi fiume e illeggibili, ripetitivi e pieni di aggettivi generici.
- Errori di tono, perché l’AI non sa chi è il tuo pubblico né qual è la voce del canale.
- Informazioni inventate, le famose allucinazioni: dati, nomi e trend che non esistono.
- Fonti obsolete o inesatte, perché i modelli non sono aggiornati in tempo reale.
- Rischi di copyright, quando riprende frasi o idee altrui senza citarle.
Insomma, il meraviglioso “mondo del fai-da-te digitale” è spesso un luogo senza bussola, dove la velocità sostituisce la conoscenza e la quantità ruba spazio alla qualità.
La trappola perfetta
Il pericolo più grande è che l’AI scrive bene. O almeno, così sembra.
I testi sono puliti, grammaticalmente corretti, ordinati. Ma sotto la superficie c’è il vuoto: mancano sapere, strategia e autenticità. Ed è qui che si vede la differenza tra chi sa e chi si affida a un algoritmo.
Il risultato? Una nuova forma di rumore digitale: milioni di contenuti perfetti, ma completamente inutili.
Il fenomeno ha anche un nome: AI slop, la spazzatura generata dall’intelligenza artificiale.
Dietro ogni AI, c’è sempre un’intelligenza umana
L’AI non pensa.
Non conosce il pubblico a cui parla.
Non capisce le sfumature, non coglie l’ironia, non sente le emozioni.
È sempre l’essere umano che deve guidarla, interpretarla e correggerla per dare calore, ritmo e verità a
ciò che nasce da un algoritmo.
L’AI risponde, sì, ma le domande le fa l’uomo.
E se chi fa le domande non sa cosa sta chiedendo, il risultato è inevitabilmente sbagliato.
Ecco perché “fare da soli” è una falsa libertà.
La vera competenza è la collaborazione uomo-macchina
Imparare a usare l’AI è un percorso straordinario, ma non può sostituire l’esperienza, la sensibilità e la creatività. Può però amplificarle.
La differenza la fa chi è in grado dialogare con l’AI, non chi la subisce senza senso critico.
Chi la usa per potenziare le proprie conoscenze e competenze, non per ingannarle o sostituirle.
Il futuro non vivrà nella sostituzione, ma nella sinergia.
L’AI accelera, l’uomo orienta. È lì, in quel punto d’incontro, che nasce il valore.
Formarsi per capire, non per sostituire
Proprio per affrontare questi temi con competenza e consapevolezza, Terzomillennium ha ideato la rassegna Connessioni – Guida al futuro: un ciclo di incontri culturali con esperti di settore dedicati a chi desidera leggere il cambiamento con intelligenza critica.
Tra gli appuntamenti recenti, il 13 novembre scorso quello con Elisa Andreatta, Partner Marketing & Analytics di Deloitte Digital, che ha condotto il talk “AI per il business: creatività e analisi dei dati per vendere meglio” ha offerto una riflessione concreta su come utilizzare l’intelligenza artificiale non per “fare al posto nostro”, ma per fare meglio e insieme.
In un contesto controverso e in continua evoluzione come quello dell’AI, solo la formazione di qualità può trasformare il timore di essere sostituiti nella forza di saper collaborare con le nuove tecnologie.