La Fine della Fiera (davvero?)

Se ne parla soprattutto in rete: post accesi, riflessioni, domande provocatorie.
Il tema è chiaro: ha ancora senso investire decine di migliaia di euro tra stand, vitto, alloggio, trasporti e risorse umane per esserci? E soprattutto: nel 2025 cosa ci si aspetta davvero da questi eventi?

Le fiere stanno attraversando una fase di profonda trasformazione. Alcuni insider parlano di “stallo”, se non addirittura di “crisi”. Per molte aziende, la partecipazione è diventata un obbligo più che un’opportunità. Il tradizionale “rito fieristico” appare inadeguato in un contesto commerciale che si muove a ritmi digitali sempre più veloci e mutevoli.

Negli eventi fieristici continuano a dominare stand chiusi con pareti modulari, luci fredde, discorsi ripetuti, brochure obsolete, venditori stereotipati e cataloghi cartacei ormai superati. L’impressione è che, in molti casi, le fiere siano diventate momenti celebrativi più che reali occasioni di business. Di vendita diretta si parla sempre meno; gli stand sono spazi di rappresentanza, ascolto e presenza.
In questo contesto, l’investimento in fiera potrebbe non essere più indispensabile per ampliare la rete commerciale, soprattutto ora che gran parte delle informazioni sono facilmente accessibili online.

Eppure, i dati globali raccontano altro. Secondo un report di Custom Market Insights, il mercato globale delle fiere è stato valutato 44,15 miliardi di dollari nel 2024 e si prevede che raggiungerà 66,75 miliardi entro il 2033.
Il 95% degli espositori continua a preferire gli eventi in presenza (fonte: Cvent)
Il 72% partecipa per generare nuovi lead, l’88% per aumentare la brand awareness (fonte: TradeShowLabs)
Il 92% dei visitatori va in fiera per scoprire nuovi prodotti e servizi

Per rispondere alla domanda iniziale serve però un cambio di paradigma. Non basta esserci: bisogna sapere perché esserci. Una fiera efficace oggi è parte di una strategia omnicanale che integra inbound marketing, contenuti digitali, eventi ibridi e follow-up mirati. Deve trasformare i tre giorni di esposizione in mesi di relazione produttiva. Questa non è la fine delle fiere, ma la fine di quelle ripetitive e autoreferenziali. Quelle che non ascoltano, che si fanno solo “perché si sono sempre fatte”.
Non si tratta di scegliere tra presenza fisica e canali digitali: i due strumenti devono integrarsi. Il mercato degli eventi virtuali ha raggiunto 78,53 miliardi di dollari nel 2023 e crescerà del 18,8% all’anno fino al 2030 (fonte: Cvent). Inoltre, il 63% degli organizzatori prevede di aumentare gli investimenti negli eventi digitali entro il 2025.
La vera sfida è l’integrazione coerente tra presenza offline e identità online: costruire community attive, generare contenuti originali, offrire un’esperienza di marca continua.

Nel 2025, ha senso partecipare a una fiera solo se c’è visione, metodo e creatività. Se si sa trasformare la presenza fisica in un’occasione di narrazione potente. Se lo stand parla dell’azienda, non solo dei suoi prodotti. La fiera, per restare rilevante, deve evolvere.
Le prospettive per il futuro guardano a format più agili e ibridi, con focus su dati e relazioni di valore con visitatori, stampa, decision maker e influencer. Le fiere tenderanno a essere più brevi, verticali, con partecipanti selezionati e obiettivi chiari. Diventeranno piattaforme di contenuto, capaci di vivere oltre l’evento fisico grazie a un uso strategico di video, CRM, social e community digitali.

In sintesi, le fiere servono ancora, ma non possono più essere quelle di prima. Con la loro storica forza aggregante, devono diventare strumenti strategici all’interno di un ecosistema che unisce fisico e digitale, relazione ed esperienza.
La fiera del futuro è smart, integrata, accessibile e, finalmente, utile.

Foto: ©Maurizio Marcato Photographer